Venerdì 02 Aprile 2021
BENI CULTURALI: NUOVA MENTALITA'
Tarlo parlante

BENI CULTURALI: NUOVA MENTALITA'

CAMBIAMENTO NELLA PRASSI DI CONSERVAZIONE PREVENTIVA


Rivoluzione del management nella tutela
e conservazione dei Beni Culturali


Quando i neolaureati di Conservazione e Tecnologie per i Beni Culturali si affacciano sul mercato si rendono presto conto che le linee guida di Giovanni Urbani per la corretta tutela e conservazione  dei Beni Culturali, cioè la coordinazione in progetti unitari di diagnosi, cura, messa in sicurezza, controllo nel tempo, monitoraggio e ordinaria manutenzione, che rientrano nei cicli formativi di Conservatori e Tecnologi, purtroppo non trovano riscontro, in termini di management, nelle proposte che vengono dal mercato.
Queste sono parcellizzate, disorganiche, scoordinate e lacunose, quando non, ancora peggio, improvvisate e  improntate a scarsa conoscenza di base. Il mercato è privo di “cultura del legno”, che rappresenta un aspetto della massima importanza per la tutela dei Beni Culturali; è un aspetto della cultura non previsto nei cicli formativi dedicati ai Progettisti, ma  neppure appieno in quelli dedicati a Conservatori e Tecnologi dei Beni Culturali. Non solo questa lacuna rende problematica l’organicità della pur necessaria collaborazione fra Conservatori e Tecnologi da una parte e Mercato dall’altra; vi concorrono altri due fattori, strettamente connessi al DNA culturale, dell’Occidente in generale e dell’Italia in particolare. In Occidente manca la visione olistica della realtà, il tutt’uno, in cui l’uomo rappresenta una singola parte in rapporto organico e paritetico con tutte le altre, mancanza derivante da un sedimento culturale che si è sviluppato in senso opposto, antropocentrico; la visione olistica, invece, conta su radici molto profonde in estremo Oriente.


Da qui discende la differenza di operatività fra due ben distinte concezioni intellettuali: la parcellizzazione che perde di vista l’insieme, tipica della cultura occidentale, contrapposta all’inclusività organica e globale della cultura orientale. Detto in soldoni nella trasposizione sul piano pratico, la peculiare specializzazione, sempre più parcellizzata, che ignora tutte le altre, pur complementari fra loro e con se stessa, contrapposta alla multidisciplinarietà integrata, che coordina, in progetti unitari a 360°, tutte le specializzazioni fra loro complementari.
Questa concezione è particolarmente aliena nel DNA culturale italiano, che fonda le proprie radici su un sedimento storico di parcellizzazione in città-stato, di fazioni fra contrade, di camarille, di dominazioni subite e accettate – Francia, o Spagna, purché se magna -; gli effetti di questa sedimentazione non sono ancora superati, nonostante l’Unificazione  operata dal Risorgimento.
Non sono, questi, i soliti luoghi comuni, tipo “spaghetti e mandolino”, ma, anzi, fattori che hanno contribuito fortemente a caratterizzare la propensione tutta italiana, oltre che a possedere uno scarso senso di appartenenza a una comunità, con conseguente scarso senso civico, soprattutto ad assumere atteggiamenti in genere corporativi, piuttosto che consortili. Il Mercato non è, quindi, salvo rare eccezioni, in grado di proporre sistemi integrati e sinergici di tutela che rispondano pienamente a un management ispirato alle linee guida lasciateci da Giovanni Urbani.

Conservatori e Tecnologi sono soli e devono sopperire autonomamente, nel management di tutela dei Beni Culturali, alla discrasia che riscontrano tra la propria formazione teorica e la realtà di mercato. In questo compito, sono spesso soggetti a fattori di imponderabilità riguardo le effettive competenze professionali cui ricorrono, perché non sempre sorrette da una attitudine delle proprie azioni che sia di potenzialità anche soltanto integrata, se non proprio olistica, obbligandoli talvolta a sperticate azioni di ricucitura e connessione; ho spesso sotto gli occhi esempi nefasti di questa realtà.
Nelle gare pubbliche di appalto, Conservatori e Tecnologi concorrono, con la propria competenza riguardo gli aspetti tecnici, alla formulazione di capitolati, quando anche corretti, completi e organici, che vengono poi recepiti dal Mercato in modo non adeguato, con risposte altrettanto inadeguate; soprattutto, che vengono poi gestiti amministrativamente secondo criteri molto attenti ai catenacci burocratici e al prezzo più basso e, in genere, poco attenti alla qualità e alla effettiva soluzione dei problemi, come previsto dalle linee guida di Giovanni Urbani. I nostri Beni Culturali, una risorsa unica al mondo, con un potenziale di impareggiabile apporto economico legato al turismo culturale, che non è mai stato sostenuto, non meritano questo.
 


Qualche spiraglio di consapevolezza si sta cominciando a intravvedere, ma c’è ancora molta strada da percorrere perché questa entri appieno nella coscienza degli Amministratori del Paese, ai quali spetta il compito di lanciare una vera rivoluzione, di mentalità e culturale, perché questa nascente consapevolezza si evolva in prassi e in fattualità pratiche del tutto diverse. Spetta a ognuno di noi, specialmente a chi opera nel settore, assumere un compito propedeutico e di pressione, perché si possa arrivare a conseguire questo risultato.